Parlerò esclusivamente di questo aspetto nella musica e esclusivamente attraverso la mia esperienza o di amici/colleghi a me vicini, pur accennando a qualche esempio di musicisti universalmente riconosciuti.
Non c'è alcuna pretesa ne di spiegare un fenomeno personale e in gran parte misterioso, ne di dare ricette o soluzioni ma solamente uno stimolo alla riflessione.
Il processo creativo nella musica non può nascere da situazioni tranquille, agiate, dove tutto scorre senza intoppi. L'agitazione interna, l'insoddisfazione di varia natura, possono essere carburante se ben indirizzate. Altro cibo essenziale per processi creativi è la ricerca del non conosciuto, si cose nuove e spesso rischiose. Si può prendere spunto e stimolo dal già fatto o da personaggi vissuti ma poi va ricercata una via personale e a volte si fallisce, non c'è alcuna garanzia in questa avventura, d'altra parte se vi fosse garanzia, non vi sarebbe innovazione...
Ascoltare tutta la vita i musicisti preferiti non porta a nulla, se non ad una sciatta imitazione di fenomeni irripetibili e un adagiarsi/cullarsi nel pensiero altrui.
E' altresì innegabile che lo studio di certi maestri contribuisca a formarci ma poi, ad un certo punto, ci vuole la forza di liberarsene per cercare una via personale e attuale, contemporanea.
Suonare in stili del passato ha senso solo per l'acquisizione e la comprensione di un processo/linguaggio già avvenuto ma anche quì, poi va ricercato il proprio linguaggio.
Alla base della nostra ricerca ci possono essere molti ingredienti: Musica, estetica, rabbia, gioia, politica, sociale etc etc L'importante è riuscire a canalizzare il nostro sentire, nel linguaggio fisico/psichico della musica.
Più decideremo di rischiare, sperimentare il non conosciuto, più potremo crescere artisticamente, meno lo faremo, più ci avvicineremo all'intrattenimento, al piano bar.
Ad esempio, se ascoltiamo sempre le solite versioni di un tema e lo suoneremo per anni alla stessa maniera, non vi sarà crescita.
Bisogna sperimentare continuamente, prendere intervalli inusuali, forzare l'armonia (dopo averla capita però eh) e senza aspettarsi per forza un esito positivo.
Infine, la frequentazione, stimolo, confronto con gli altri musicisti, pratica assolutamente essenziale per una serie infinita di motivi.
Suonare coi soliti musicisti per anni, darà vita ad un sound efficace, a risultati sicuri ma ahimè prevedibili per noi stessi. Suonare con gente sconosciuta e per di più portatrice di altre culture è molto rischioso, è faticoso, mette in discussione le nostre convinzioni/convenzioni ma è la via per crescere.
Insomma, fare musica dovrebbe essere una ricerca continua del nuovo, di aspetti interiori non ancora scavati, dovrebbe essere rischio ed eccitazione ogni volta.
Se questo non accade, vuol dire che siamo fermi e ripetiamo un copione sicuro ma privo di innovazione, di crescita, prima di tutto per noi stessi.
Nella storia, centinaia di grandi musicisti, sono andati a cercare cose nuove, la musica dell'est europa, la micronesia, l'Africa, i caraibi etc etc e da li sono nati i capolavori e le innovazioni: Coltrane, Cherry, Bowie, Russell, Gil Evans, Zawinul e tanti altri.
Bisogna rischiare, mettersi in gioco ogni mattina, è la musica a chiedercelo. Anche avere lo stesso insegnante per gran parte della vita è sbagliato, poichè ogni insegnante è stimolatore differente è portatore di approcci e visioni differenti.
Questa non è altro che una mia banale riflessione, peraltro piuttosto superficiale e banalotta ma penso sia la base minima da cui partire per riflettere sul nostro rapporto con la musica.(Ma anche con la vita...)