Bill Evans e Miles Davis

La grande rivoluzione musicale del XIX e XX secolo, motore di profondi mutamenti sociali e culturali
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Principedeikebbabari
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Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Principedeikebbabari »

So che Miles Davis scaricò il pianista del suo gruppo per fare entrare Bill Evans ai lavori di Kind Of Blue Voleva a tutti costi questo pianista, lontano da Lui sebbene entrambi jazzisti, eroinomani e di estrazione borghese..
Trovò in Bill Evans, un giovane artista ai tempi ancora poco conosciuto, alto, biondo e con l'aria da prete, un faro potentissimo per esplorare la musica modale.. Sarà stato merito della madre russa, che lo fece innamorare sin dalla tenera età dei cori ortodossi?
Bill Evans chiuse I rapporti professionali con Miles già da prima dell'uscita sul mercato dell'Album, stanco, confuso e ferito.
E il resto immagino lo abbiate già ascoltato.
Con Scott La Faro trovò un intimo amico con chiaccherare in musica, non un collega con cui suonare come Miles e si sente tanto. Ascoltando prima I live con Scott la Faro e poi Kind of blue, mi rendo conto del fastidio esistenziale che provava Bill Evans ad essere "coperto" e "travolto" dalla tromba/personalita di Miles Davis... Bellissima per Carità, ma immagino Quanto potesse essere fastidiosa per lui, quella tromba stridente col wah wah e forse anche Miles Davis in persona, appassionato di vita mondana, donnaiolo e pure pappone/ricottaro quando servivano I soldi per le pere, assai diverso dal timido e ingessato Bill Evans, che neanche rispose alla provocazione dei 25 dollari per le royalties di Greensleeves.
Indirettamente però trasformo tantissimo il suono di Miles Davis , infatti artisticamente penso che i pantaloni in realtà li portasse Bill Evans in quel gruppo e in quei momenti... Cane che morde non abbaia/strombetta insomma...
Magari qualcuno la pensa in maniera completamente diversa, ditelo pure!


iMaurizio
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da iMaurizio »

E' molto difficile commentare quello che hai scritto, perché sei stato piuttosto categorico e sprezzante, e se non ti fossi presentato al forum questo tuo post a mio parere potrebbe anche essere visto come una provocazione come quelle che fanno i troll sui social.

Sono convinto infatti che se tu scrivessi un post del genere su un gruppo facebook dedicato al jazz verresti prontamente lapidato, digitalmente intendo. : Wink :

La mia curiosità è quella di capire quali sono stati gli articoli, i libri o comunque i riferimenti storici che ti hanno portato a maturare un opinione così forte e stravagante su come sarebbero andate le cose.

Nel frattempo ti ricordo che tra Miles e Bill c'erano 3 anni di differenza, e anche se Miles era già abbastanza affermato, a 33 anni non è che ci fosse tra loro una differenza tale da instaurare un rapporto di dominio da un lato e sudditanza dall'altro.
Inoltre mi risulta che il Bill Evans biondo sia il sassofonista, non il pianista. : Sailor :
Principedeikebbabari
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Principedeikebbabari »

Effettivamente non é che fosse proprio biondo, é più sul castano...
Non voleva essere una cosa troll o per mettere zizzania, ovviamente ho un po' romanzato e sicuramente non so bene cosa passasse di preciso tra di loro.

https://jazztimes.com/archives/miles-da ... ack-white/
Questo é uno degli articoli che avevo Letto
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Marco Muttinelli
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Marco Muttinelli »

Molto spesso i grandi artisti sono anche umanamente estremamente fragili e questo, forse, li rende in qualche modo più vicini a noi "comuni mortali".
Ed anzi, guardare a queste fragilità ci aiuta ad amarli ancora di più.
La vita di Miles è costellata di eventi legati alla sua mancanza cronica di equilibrio e sicurezza, sempre in bilico tra invidia e rabbia sconfinata. Molle che lo hanno comunque spinto ad arrivare ai livelli al quale è giunto, spesso facendo del male prima di tutto a sè stesso (si veda ad esempio il rapporto con la moglie Frances Taylor).
Mitizzare certe figure tralasciando le ombre che esse hanno prodotto rischia di sminuire in qualche modo il valore di ciò che di positivo ci hanno invece lasciato, cosa possibile mediante una lettura più disincantata e (anche magari) cruda.
Ben vengano questi tipi di interventi che aprono una visione degli artisti meno da occhiali a lenti rosa e molto più legati ai drammi personali di ciascuno di essi, anche perché (FORTUNATAMENTE) non siamo un social network ma uno spazio dove la dialettica e le idee differenti sono un valore e non un limite.
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iMaurizio
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da iMaurizio »

Ma sono certamente d'accordo che in un luogo come questo tutte le opinioni debbano essere ben accolte e concordo pure sul fatto che sia sbagliato mitizzare in modo acritico. :)

Credo però sia egualmente importante stare attenti a non demitizzare con facilità o basandosi su ipotesi non suffragate dai resoconti storici, perché altrimenti è facile scivolare nel fantajazz o peggio ancora nel pettegolezzo. : Sailor :
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Marco Muttinelli
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Marco Muttinelli »

Interessante questo articolo della rivista Rolling Stones in merito a ciò che ha avuto modo il buon Arrigo Polillo di scrivere:
https://www.rollingstone.it/musica/arri ... re/593245/

Riporto dal link:

"Arrigo Polillo racconta Miles Davis: «Sembrava un ipnotizzatore»
In un estratto dal libro ‘Arrigo Polillo – Un maestro internazionale della critica jazz’, che verrà presentato a JazzMI, il giornalista e critico racconta un incontro con il trombettista e il suo carattere difficile
diRolling Stone It
29 Ottobre 2021 11:58

Arrigo Polillo è stato una figura fondamentale per la diffusione del jazz in Italia. Il critico, storico direttore della rivista Musica Jazz, ha raccontato la black music come pochi altri e organizzato moltissimi concerti e festival nel nostro Paese. La sua storia è al centro di un nuovo libro pubblicato da Mimesis e intitolato Arrigo Polillo – Un maestro internazionale della critica Jazz.

Il volume, scritto da Luca Cerchiari e dal figlio del giornalista Roberto Polillo, ha l’obiettivo di collocare l’autore nel contesto internazionale della critica jazz e raccoglie le riflessioni di Roberto, che l’ha seguito per anni come fotografo, le testimonianze di musicisti, esperti e organizzatori, oltre ad alcuni scritti dello stesso Polillo sui grandi maestri del jazz. Potete leggerne uno, dedicato a Miles Davis, qui sotto. Il libro, disponibile dal 14 ottobre, verrà presentato dagli autori durante JazzMI, sabato 30. Le informazioni sull’evento sono disponibili a questo link.

Gli occhi, piccoli, lucidi, “puntuti”, hanno una fissità innaturale. Sembrano quelli di un ipnotizzatore. Meglio: di un rettile. la voce pare venire dall’oltretomba: ha la consistenza di un soffio. Si dice che l’abbia perduta per aver urlato al telefono contro qualcuno, mentre era ancora convalescente per un’operazione alla gola.

Basterebbero quegli occhi e quella voce per mettervi in apprensione. Ma Miles Davis vi fa star male anche per il suo modo di comportarsi: perché prova gusto a vedervi soffrire, a farvi stare sui carboni accesi. Per esempio: pretende per contratto di suonare prima di ogni altro perché l’attesa lo innervosisce, assicura, ma poi può arrivare in Teatro quaranta minuti dopo l’ora fissata per l’inizio dello spettacolo, quando già il pubblico sta fischiando da un bel po’. Gli deve piacere l’idea di tenere sulle spine qualche migliaio di persone mentre lui se ne sta beatamente sdraiato sul suo letto d’albergo in attesa soltanto di fare la sua tardiva entrata e costringere all’applauso la gente che ha sofferto aspettandolo.

Miles è così, e anche peggio di così. Pare tanto perverso che molti assicurano che non è possibile che sia fatto veramente a quel modo; ci deve essere qualcosa sotto, qualcosa che uno psicologo scoprirebbe facilmente.

Il fatto è che se avete a che fare con Miles per ragioni di lavoro vi infischiate delle spiegazioni che uno psicologo potrebbe dare del suo comportamento: soffrite, lo odiate, e basta.

La volta che più lo odiai fu nel 1965. Era venuto a Milano per suonare, col suo allora formidabile quintetto (quello con Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams) in un piccolo festival del jazz in programma al Teatro dell’Arte, il cui cartellone era stato messo insieme con la collaborazione di George Wein.

Miles era andato a riposare in albergo nel primo pomeriggio, e ci aveva fatto sapere che non voleva essere disturbato prima del concerto; fu invece importunato da un giornalista intraprendente che aveva scoperto in quale albergo alloggiava e gli aveva chiesto un’intervista.

Non lo avesse mai fatto! Miles mandò a quel paese il malcapitato, e subito ci notificò per telefono che non avrebbe suonato visto che non avevamo saputo proteggerlo dagli scocciatori.

Chiamai allora in soccorso il mio amico Charlie Borgeois, il braccio destro di Wein, arrivato a Milano quale accompagnatore della troupe, e andammo insieme in albergo per ammansirlo. Charlie era nervosissimo: muoveva a scatti le braccia, e mi batteva le mani sulle ginocchia invitandomi a non preoccuparmi: “È qui per suonare”, mi ripeteva; ma si vedeva che non ci credeva molto neppure lui.

Non fui tranquillo finché non vidi il nostro uomo installato nel camerino del teatro, con la tromba sul tavolo. Lì gli avevamo fatto trovare, nella speranza di guadagnarci la sua benevolenza, una bottiglia di whisky; però quando io, poco prima del concerto, andai da lui per chiedergli, con un sorriso pacificatore, se lui e i suoi avessero bisogno di qualcosa, mi sentii rispondere con quella voce gorgogliante: “A trumpet player”. Il gruppo cioè aveva bisogno di un suonatore di tromba, né più né meno. (Ma si trattava di una battuta, perché poi Miles suonò, e suonò magnificamente, come in anni successivi non sarebbe più stato capace di fare).

Il suo aspetto truce non avrebbe fatto sospettare certi aspetti infantili della sua personalità, che pure c’erano. Li rivelava la sua passione per gli eroi del ring e per le automobili sportive italiane (“Ho due Ferrari”, ripeteva a chiunque, con un sorrisetto pieno di orgoglio). A un tavolo di ristorante attorno al quale, oltre a me e Miles, sedeva uno degli uomini di Wein, Dino Santangelo, non sentii parlare d’altro che d’automobili e di pugilatori per tutta la durata del pranzo. I suoi commenti erano sempre ammirativi: non so quante volte, quel giorno, gli ho sentito ripetere la sua favorita espressione: “Outasight!” (“Fuori dalla nostra vista”), che è come dire “Fantastico, irraggiungibile!”.

Dino Santangelo gli dava corda: non desiderava altro che compiacerlo, apparendo comprensivo e partecipe. perché anche lui aveva paura di Miles: me lo aveva confidato prima che il nostro uomo arrivasse in città. Quando eravamo andati ad accoglierlo all’aeroporto, Dino si era letteralmente illuminato in volto quando si era reso conto che a fianco di Miles (bardato per l’occasione come un principe barbaro) c’era la sua donna di turno, un’indiana-americana dal bellissimo sorriso. “Non abbiamo più motivo di preoccuparci”, mi sussurrò Dino a quella vista. “Quando c’è lei, lui sta tranquillo e non ci son problemi.” (Non ci furono, infatti).

Ciò che non ho capito affatto è se Miles crede davvero che la musica che fa da qualche anno a questa parte, e che fece anche al Conservatorio di Milano la sera successiva al pasto a base di automobili e pugilatori. Ho appreso solo che disprezza il rock (a cui peraltro la sua musica attuale si ispira) e che ama tuttora i colleghi e i maestri di ieri. Quel giorno mi costrinse ad accompagnarlo in teatro a sentire Dizzy Gillespie, a costo di guastarci la digestione per via del poco tempo a disposizione.

Io comunque ho una teoria a proposito di Miles Davis. Penso che i complessi di cui è carico, che certi suoi discutibili atteggiamenti trovino la spiegazione nella sua estrazione sociale. Miles apparteneva a una ricca famiglia della borghesia nera: l’abbandonò per intrupparsi coi musicisti di jazz (i boppers, per essere più precisi), divenendo subito intimo amico e compagno di camera di Charlie Parker, grande musicista di jazz ma anche grande drogato.

Credo che l’equilibrio di Miles Davis sia saltato allora, per quella doccia scozzese."
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Fcoltrane »

Alcuni aneddoti sono curiosi ed interessanti. Utilizzando analoghi luoghi comuni chi sa suonare suona chi non sa suonare insegna chi non sa fare né l’uno né l’altro critica . 😂
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Marco Muttinelli »

Beh, insomma, Arrigo Polillo (può piacere o meno come ovvio) credo abbia fatto tantissimo per la cultura jazz in Italia tanto nella sua veste di giornalista quanto di organizzatore di eventi legati a questo genere musicale non ultimo il Festival Internazionale del Jazz di Sanremo che dovrebbe essere stato il primo del genere in Europa. La critica fa parte del gioco e spesso serve anche a crescere intellettualmente ed artisticamente tanto per chi la fa quanto per chi la riceve.
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Fcoltrane »

Si assolutamente. Il tuo discorso non fa una piega . In questo caso però non si parla di critica musicale ( ambito nel quale Polillo ha una certa competenza soprattutto riferita al periodo dello swing e precedente) ma di psicologia spicciola e di personalità e cattivo carattere di uno che ha rivoluzionato la musica Miles . Leggo sempre con interesse le opinioni dei critici di jazz ma le considero opinioni come le tue o le mie solo rafforzate dalla qualità del critico.
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Re: Bill Evans e Miles Davis

Messaggio da Marco Muttinelli »

Penso che l'elemento centrale del post iniziale, al di la delle modalità individuali con cui è stato scritto, intendesse mettere in risalto un aspetto per certi versi sottovalutato, ossia di come due personalità totalmente differenti (per certi versi quasi opposte, e forse proprio per questo in un certo senso complementari) abbiano potuto (e saputo) collaborare per creare musica immortale. In questo senso risiede anche la grandezza di entrambi questi musicisti, capaci di "influenzarsi" vicendevolmente per regalarci pagine di musica indimenticabili.
Che poi, a ben vedere, sono problematiche che riguardano tutti nelle relazioni sociali/lavorative. Quante volte magari ci è capitato di dover collaborare ad un qualcosa con persone che ci stanno antipatiche o con le quali facciamo fatica a legare? Eppure tante volte dal confronto/rapporto con questi soggetti è scaturito poi il lavoro meglio fatto.
Questi aspetti "umani" sono (secondo il mio punto di vista) imprescindibili nel senso che volenti o nolenti fanno parte di ciascuno di noi.
Tornando ad esempio a Polillo, che certamente adorava Miles anzi praticamente lo venerava, attraverso l'aneddotica ci fornisce delle chiavi interpretative di Miles che aiutano a capire meglio il suo mondo e come e perché sia riuscito a fare ciò che ha fatto. Per chi come me (e sono sicuro anche tanti di noi in generale) non ha avuto la fortuna di conoscere personalmente questo gigante (e nemmeno mai sentito suonare dal vivo : Hurted : ) questi "spaccati" di vita rendono perfettamente l'idea di quello che Thomas Mann diceva della figura dell'artista paragonandolo alla Luna che risiede a mezza via tra la terra ed il firmamento rendendolo così al contempo il più terrestre dei corpi celesti ed il più celeste dei corpi terrestri.
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